Importantissimo pronunciamento della Corte
europea dei diritti dell’uomo (Cedu) in materia di caccia e proprietà
privata.
La sentenza Cedu, Grande
Camera, 26 giugno 2012, Hermann vs. Germania ha introdotto
una sorta di diritto all’obiezione di coscienza
venatoria in favore del proprietario dei terreni che non intenda
consentirvi l’esercizio della caccia.
Infatti, il proprietario di un fondo
rustico non è obbligato a tollerare che altri vi pratichino la caccia, se in
contrasto con le proprie convinzioni personali e morali.
Essendo l’attività venatoria esercitata a
fini prevalentemente ludici, una legislazione nazionale non può impedire al
proprietario di negare l’accesso al proprio fondo quando la caccia è vista da
chi non la pratica come una ingerenza sproporzionata di terzi nella propria
sfera privata.
Non rileva la considerazione (opinabile)
secondo cui la caccia soddisferebbe interessi generali per la tutela delle
coltivazioni contro i danni provocati dalla fauna selvatica e nemmeno il
conferimento di un compenso per la tolleranza della presenza dei cacciatori
rispetto alla perdita del diritto del proprietario terriero a manifestare i
propri convincimenti a favore della protezione della fauna selvatica.
I giudici hanno adottato, quindi, una
linea interpretativa che contempla un concetto ampio di proprietà, riconoscendo
al titolare non soltanto un diritto reale sul bene (il terreno), ma anche un
vero e proprio diritto di esprimere e attuare, attraverso il fondo, le proprie
idee. Vengono, cioè, garantiti il diritto a non subire invasioni di terzi nel
proprio terreno e il diritto a non lasciare che le convinzioni altrui alterino
il proprio rapporto con il fondo e con l’ambiente circostante, che si traduce
nella libertà di non rendere disponibile il fondo per la cattura e l’uccisione
degli animali selvatici.
La decisione adottata dalla Cedu assume
forte rilevanza per l’Italia, fra gli Stati che consentono in via generale al
cacciatore di entrare nei terreni altrui senza il consenso del proprietario.
Ricordiamo, infatti, che l’articolo
842 del Codice civile, commi 1° e 2°,
dispone: “Il proprietario di un fondo non
può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno
che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti
dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di
danno. Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata
dall’autorità”.
La previsione generale, in Italia, purtroppo, è in favore
del libero ingresso dei cacciatori (e solo di essi)
nei terreni altrui per l’esercizio della caccia. E’ frutto
del periodo (il regime fascista) durante il quale venne elaborato e approvato
il codice civile (regio decreto 16 marzo 1942, n. 262) e del relativo
incoraggiamento dello spirito bellico che dovrebbe
permeare chiunque abbia in mano un’arma.
Si tratta di una palese violazione del principio di uguaglianza dei cittadini, sancito dalla Costituzione, che devono godere
degli stessi diritti davanti alla legge (art. 3) e devono vedere
assicurato il loro diritto alla proprietà privata riconosciuta e garantita
dalla Costituzione in maniera esclusiva e temperabile solo per “motivi
di carattere generale” (art. 42).
Come si è fatto finora a riequilibrare le
cose, almeno un po’?
Limitazioni di
carattere generale sono l’istituzione di un “fondo chiuso” ovvero la presenza
di “colture in atto suscettibili di danno”.
Si ha “fondo
chiuso” a termini di legge (art. 15, comma 8°, della legge n. 157/1992 e s.m.i.)[1] quando
il proprietario o il conduttore del fondo abbia predisposto lungo tutto il
perimetro del terreno una recinzione costituita da muro, rete metallica o altra
effettiva chiusura, di altezza non inferiore a metri 1.20, o delimitati da
corsi d’acqua perenni dalla profondità di almeno metri 1.50 e larghezza di non
meno di 3 metri. Obblighi in capo al proprietario o al
conduttore quelli di tabellazione visibile lungo il perimetro e di
comunicazione alla Regione e alle altre amministrazioni pubbliche eventualmente
competenti, secondo normativa regionale (in Sardegna l’Assessorato
regionale della difesa dell’Ambiente e il Comitato provinciale faunistico,
avente sede presso le Amministrazioni provinciali).
Vi sono anche i divieti
generali di attività venatoria nei terreni
in attualità di coltivazione ovvero quei terreni su cui incidono frutteti
specializzati, vigneti e uliveti fino alla data del
raccolto e in tutti i terreni individuati dalle regioni in attualità di
coltivazione (art. 15, commi 7° e 8°, della legge n. 157/1992 e s.m.i.). Per
tutti questi terreni il divieto di caccia si suppone nell’interesse delle coltivazioni
e tende a prevenire eventuali danni all’agricoltura che causano l’obbligo di
risarcimento a spese dello Stato.
Inoltre, il proprietario o il conduttore può chiedere l’esclusione dei propri terreni
dalla c.d. gestione programmata della caccia (art. 15, commi 3° – 6°,
della legge n. 157/1992 e s.m.i.): deve inoltrare, entro trenta giorni dalla
pubblicazione del piano faunistico- venatorio, al Presidente
della Regione richiesta motivata da esaminarsi entro 60 giorni (art. 2 della legge
n. 241/1990 e s.m.i.). La richiesta dev’essere accolta se non
ostacola l’attuazione della pianificazione
faunistico-venatoria (art. 10 della legge n. 157/1992 e s.m.i.). E’ accolta,
inoltre, “in casi specificatamente individuati con
norme regionali, quando l’attività venatoria sia in contrasto con l’esigenza di
salvaguardia di colture agricole specializzate nonchè di produzioni agricole
condotte con sistemi sperimentali o a fine di ricerca scientifica, ovvero
quando sia motivo di danno o di disturbo ad attività di rilevante interesse
economico, sociale o ambientale”.Anche in questo caso vanno apposte
tabelle, esenti da tasse, a cura del proprietario o conduttore del fondo, le
quali delimitino in maniera chiara e visibile il perimetro dell’area
interessata. Ovviamente “nei fondi sottratti
alla gestione programmata della caccia è vietato a chiunque, compreso il
proprietario o il conduttore, esercitare l’attività venatoria fino al venir
meno delle ragioni del divieto”.
Queste ultime ipotesi sono applicabili
soltanto in caso di attuazione della c.d. gestione programmata della caccia:
in Sardegna, ad esempio, nonostante sia prevista
dalla legge regionale n. 23/1998 e s.m.i.,
non ha ancora avuto esecuzione concreta.
Ora, però, c’è il pronunciamento
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
(CEDU) e non si può più far finta di nulla.
Proprietari anti-caccia, è il momento di
agire!
Gruppo d’Intervento
Giuridico, Lega per l’Abolizione della Caccia, Amici
della Terra
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