14 aprile 2011

Donna-bracconiera spara su specie protetta: condannata a cinque anni di carcere senza condizionale ( … in India)


E’ stata trovata implicata nell’uccisione di una tigre nel 2007. Per lei, Dilipo, la donna bracconiere più famosa dell’India, la condanna arriva come una mazzata … senza condizionale. Cinque anni e tre mesi per avere contrabbandato una specie particolarmente protetta. Nessuna concessione per la donna bracconiere appartenente ad una comunità rurale (Bawarias) dello Stato dell’ Uttar Pradesh. Per loro è una caccia di tradizione incompatibile, però, con le leggi di tutela della fauna. Per Dilipo, niente da fare. Secondo le autorità indiane, questa condanna servirà da monito agli altri bracconieri e darà un messaggio forte a tutta l’opinione pubblica. Dilipo, del resto, era già stata arrestata, sempre per l’uccisione di una tigre, alcuni anni addietro. Aveva già scontato nove mesi di prigione, ma evidentemente non era stato sufficiente.
Ed in Italia? Cosa succede a chi uccide una delle specie più rare?
Supponiamo che un bracconiere venga sorpreso nell’uccisione di un raro Camoscio d’Abruzzo. In Italia, di questa particolare sottospecie unica in tutto il mondo, ve ne sono circa 2000 esemplari, qualcosina in più delle tigri indiane. E’ talmente particolare che assieme ad altre tre specie (orso, stambecco e muflone sardo) è a lui riservato una particolarissimo riguardo circa le sanzioni penali da applicarsi nel caso di uccisione, detenzione o cattura. In altri termini, per tutti gli altri animali possiamo considerare solo pene minori. Per tutti (Camoscio compreso) sono, inoltre,  riservati reati minori, ovvero solo di natura contravvenzionale. Tanto per intenderci, un reato per produrre un solo minuto di arresto in flagranza deve prevedere pene superiori ai cinque anni e comunque essere un … reato maggiore, ovvero un reato-delitto. La previsione più grave di pena pecuniaria, ritornando al nostro Camoscio d’Abruzzo, è di circa seimila euro, che quasi mai (come tutte le pene massime) viene applicata. Quella reclusiva varia, invece, da tre mesi ad un anno. Salvo casi molto particolari di persone con gravi precedenti, reclusione non significa mai prigione. Figuriamoci per un incensurato.
Ovviamente non vale la legge contro i maltrattamenti di animali. La legge sulla caccia, infatti, è una legge speciale e già prevede i suoi blandi reati per chi uccide specie protette. Sebbene meno potenti prevalgono sul (moderatamente) più forte reato di uccisione di animali, previsto proprio dalla legge contro i maltrattamenti.  Il paradosso poi consiste nel fatto che se ad uccidere il povero Camoscio d’Abruzzo è un non cacciatore, a lui può essere contestato il più potente reato delitto di furto al patrimonio indisponibile dello Stato, valido anche per le aggravanti e le forme di ricettazione. Se invece ad impallinare è una persona con regolare licenza di caccia vale il piccolo reato contravvenzionale, dal momento in cui il legislatore ha graziosamente previsto (solo per i cacciatori) l’esclusione di alcuni articoli del Codice Penale. Sarà un caso che in molti interventi delle Forze dell’Ordine ai danni di bracconieri, si trovano persone in regola con la licenza di caccia? Non dovrebbe essere un vanto, per i cacciatori, fare in modo che la loro legislazione sia molto rigida nell’escludere ogni commistione cacciatore-bracconiere, al posto di incentivarne la potenziale presenza?  (GEAPRESS)